Pubblicato il

Michelle Obama, dalla "Black women's liberation" alla Casa Bianca….

Domenica 5 Aprile ore 18.30, GRIOT presenta: “Michelle Obama, la first lady della speranza”, Nutrimenti 2009. Partecipano, Filippo La Porta, saggista, autore di “Diario di un patriota perplesso negli USA” E/O, 2008 e Costanza Ciminelli, esperta di storia afro-americana e di Black Feminism.

Barack Obama la chiama scherzosamente “The Boss”. Lei, con ironia pungente, in riferimento alla questione razziale negli Usa, si è definita “un errore statistico”. Di certo Michelle Obama, prima first lady afroamericana degli Stati Uniti, sembra destinata a giocare un ruolo di primo piano nella nuova stagione aperta con l’elezione di Barack Obama. E non solo come ‘consigliere privilegiato’ del presidente.
Il viaggio dal South Side di Chicago, della figlia di un operaio dell’acquedotto, fino al giorno dell’insediamento alla Casa Bianca, passa attraverso un fondamentale periodo di formazione, di convinzioni politiche e aspirazioni di impegno sociale. Michelle Obama, la studentessa di Harvard e laureata a Princeton nel 1985, si è nutrita di cultura militante la cui influenza va cercata in donne come Frances Beale (autore di “Double Jeopardy: To Be Black & Female), l’attivista Angela Davis, Deborah K. King e E. Frances White. Michelle Obama, porta alla Casa Bianca i valori tradizionali della comunità afro americana ma anche l’attivismo della “Black women’s liberation”…ben più di una first lady chic and strong….
Filippo La Porta è nato a Roma, nel 1952. Saggista e critico letterario, scrive suL’Unità, Musica! D di la Repubblica, il Manifesto e numerose altre testate. È, inoltre, autore di La nuova narrativa italiana, Travestimenti e stili di fine secolo (1995 e nuova edizione 1999), Non c’è problema. Divagazioni morali su modi di dire e frasi fatte (1997); Manuale di scrittura creativa (1999), Narratori di un sud disperso. Cantastorie in un mondo senza storie (2000). Ha altresì curato Racconti italiani d’oggi (1997) e, insieme ad Alessandro Carrera, Il dovere della felicità (2000). Il suo ultimo libro “Diario di un patriota perplesso negli USA”.
Costanza Ciminelli è Laureata in Scienze politiche con una tesi sulle lotte degli afroamericani dal 1954 al 1970 viste da alcune riviste italiane della sinistra laica e democratica (c.d. Terza forza), nel 2000  Visiting Scholar alla Emory University di Atlanta dove ha frequentato corsi di African-American History, Black Nationalism e Global Black Feminism, insegnando contestualmente italiano al Dipartimento di italianistica. Attualmente lavora come addetto stampa e redattore in ambito editoriale.
Letture consigliate:
White, E. Frances. Dark Continent of Our Bodies: Black Feminism and the Politics of Respectability, Temple University Press, 2001
Angela Davis, Women, Race, & Class, Vintage, Vintage Books ed edition, 1983
Angela Davis, Autobiografia di una rivoluzionaria, Minimum Fax, 2007
Frances Beale, “Double Jeopardy: To Be Black & Female, Radical Education Project, 1971
Deborah K. King, “Missing the Beat, Unraveling the Threads: Class and Gender in Afro-American Social Issues.” The Black Scholar, Special Issue: Afro-American Studies in the Twenty-first Century.
Deborah K. King, “Multiple Jeopardy, Multiple Consciousness: The Context of Black Feminist Ideology.” Journal of Women in Culture and Society.

Pubblicato il

"Ferito", l'ultimo capolavoro di Percival Everett, fresco di stampa

Domenica 29 Marzo alle ore 18.30: Officina GRIOT presenta “Ferito”, l’ultimo capolavoro di Percival Everett, Nutrimenti 2009. Intervengono: Sara Antonelli, Dipartimento di Studi Americani, Università di Roma Tre; Leonardo Luccone, Editore delle Collane Greenwich e Gog. Letture di Valentina Pattavina.

Qualcosa sta per accadere – la consapevolezza di questa tensione è l’ossatura del libro – perché nulla accade mai a Highland, Wyoming, profondo e gelido West, dove un impenetrabile cowboy di mezz’età, uno tra John Wayne e Gary Cooper, vedovo, laureato in storia dell’arte con una passione per Klee, Kandinskij e le caverne, naturalmente nero vive la sua appartata quotidianità fatta di giornate che iniziano alle cinque e trenta, un centinaio di chili di escrementi di cavallo da spalare, cavalli difficili da addestrare, un cucciolo di coyote con tre zampe da curare. Perché la comunità locale, compresi gli amici del protagonista, apostrofa con pesanti epiteti il ragazzo gay scomparso? È l’intolleranza bruta che permea il doppio fondo dell’etica individuale, una reazione che ricorda da vicino i cartelli imbracciati da migliaia di persone comuni nelle contromanifestazioni “per ristabilire i princìpi etici” dopo il tragico omicidio del giovane Matthew Shepard nel 1998, sempre da quelle parti, dichiarato punto di partenza della riflessione di Everett. Con uno stile disadorno e lontano da qualsiasi genere, Everett dimostra che la narrativa è un mezzo, e che qui la suspance non è tanto data da ciò che il lettore non si aspetta che accada, ma dal fatto che accada ciò che il lettore sa perfettamente debba accadere.
Percival Everett L’Esquire l’ha definito “uno dei più coraggiosi scrittori sperimentali degli ultimi anni”. Personaggio poliedrico, è stato musicista jazz, tuttofare in un ranch (vanta un’esperienza di ben quattordici anni come addestratore di cavalli), professore di liceo. Attualmente si divide tra l’insegnamento (è professore di Letteratura alla University of Southern California) e la scrittura (autore prolifico, ha scritto oltre venti libri tra romanzi, raccolte di racconti e poesie, e saggi, esplorando quasi tutti i generi letterari; ed è improbabile che si fermi). L’interessato, invece, rifugge quell’epiteto e quello di scrittore postmoderno vantando tra i suoi maestri i classici scrittori americani di grande respiro come Mark Twain. I suoi libri sono tradotti e apprezzati in tutta Europa. In Italia sono usciti: nel 2007 Glifo per Nutrimenti e Cancellazione per Instar Libri; nel 2008 La cura dell’acqua per Nutrimenti.

Pubblicato il

Presentazione di "Il mio cuore riposava sul suo" di Lara Santoro, Edizioni E/O

Domenica 15 Marzo, alle ore 18.00: Officina GRIOT è lieta di invitarvi alla presentazione di “Il mio cuore riposava sul suo”, di Lara Santoro, Edizioni E/O, 2009. Sarà presente l’autrice.

La mia Africa ci raccontò il continente nero attraverso gli occhi e il cuore di una donna bianca. Il mio cuore riposava sul suo è una bellissima variazione sul tema. Il Kenya però non è più quello nei cui cieli volavano innamorati Meryl Streep e Robert Redford. Più che la savana con gli animali selvatici, oggi contano gli slums con le bande di ragazzi affamati e i malati di Aids. Anna è un’inviata speciale. Beve molto, ha un caratteraccio, vive pericolosamente, ma ha un cuore grande che può contenere l’amore per due uomini, quello per l’Africa e quello straordinario e salvifico per Mercy, la sua donna di servizio nera, che diverrà amica e maestra di vita.
I due uomini che ama, Nick e Michael, non potrebbero essere più diversi tra loro. Nick è un dandy inglese che vive ancora la vita spensierata dei tempi coloniali. Michael è un reporter di guerra americano generoso e impulsivo. Mercy è una donna fenomenale. Corpulenta, vestita con pantaloni in finta pelle e una stringata canotta rosa, esce ogni mattina dalla sua baracca negli slums di Nairobi per andare a servizio nella bella casa di Anna e aprirle gli occhi sulla sua realtà di giovane bianca viziata, fino a trascinarla in una memorabile battaglia di donne africane contro l’industria farmaceutica che specula sull’Aids e nega i farmaci salvavita.

 
Il romanzo di Lara Santoro percorre la personale trasformazione di una reporter alle prese con quell’Africa devastata dalle epidemie e dagli interessi economici del mondo occidentale ma anche forte e decisa a lottare.
Acuto, commovente e pieno di suspence racconta la bellezza del continente nero e la sua realtà di terra straziata, attraverso l’intenso intreccio di relazioni, amori e tradimenti che permeano l’intera narrazione. Straordinario il personaggio di Mercy, donna fenomenale, corpulenta e bizzarra, che si fa maestra di vita della protagonista.
“Il mondo è un luogo bello e in rovina, e Lara Santoro è una voce nuova e sorprendente. Il mio cuore riposava sul suo è un romanzo stupendo.” 
Alice Sebold, autrice di Amabili resti

Pubblicato il

Cannibali e felici di Maryse Condé

Internazionale 762, 19 settembre 2008
Oggi si parla molto di diversità culturale. Le famose descrizioni di Frantz Fanon nei Dannati della terra stanno passando di moda: “Il mondo colonizzato è un mondo diviso in due… La città del colonizzato, o almeno la città indigena, il quartiere negro, la medina, la riserva rappresentano un luogo malfamato, popolato di uomini malfamati. Qui si nasce dovunque e comunque. E si muore dovunque, di qualunque cosa… La città del colonizzato è una città piegata, una città in ginocchio, disfatta”. 
È l’universo che ha cambiato forma. Non ci sono quasi più coloni e colonizzatori. Ci sono solo sfruttatori e sfruttati, have e have not. Le musiche, le cucine, le mode si mescolano. Le lingue convivono nelle città, che sono le nuove torri di Babele.
Con l’arrivo degli immigrati provenienti da tutte le parti del mondo, i paesi occidentali hanno capito di dover rinunciare all’idea di una cultura unica e a parole come “purezza” e “autenticità”, che, a pensarci bene, hanno prodotto più danni che altro.
Eppure la diversità culturale e il dialogo tra le culture rimangono troppo spesso dei miseri auspici. Gli esuli della diaspora restano chiusi in se stessi, rifiutando di aprirsi agli altri, senza voler condividere nulla. 
E così a Parigi, discutendo con un gruppo di ragazzi della cosiddetta “seconda generazione”, mi sono resa conto che non avevano mai visitato la reggia di Versailles né i castelli della Loira. Offuscata da quella che mi sembrava un’imperdonabile mancanza di curiosità, li ho rimproverati severamente.
“Proprio lei, l’autrice di Segù, ci dice queste cose?”, mi hanno risposto amareggiati. Poi ho capito che quel ripiegamento su se stessi rispondeva a ragioni confuse e complesse. A dispetto dei discorsi ufficiali, quei giovani si sentivano emarginati e le loro culture di provenienza erano sottovalutate. Per rispondere all’ignoranza e forse al disprezzo mostrati dal loro paese d’adozione, avevano scelto una sorta d’ignoranza volontaria. Cercavano di preservare in se stessi, come potevano, l’eredità dei loro genitori, che vedevano minacciata da ogni parte. 
Quella conversazione mi aveva turbato.
Come fargli riconoscere che le culture non devono mai escludersi, ma arricchirsi reciprocamente nello scambio? Come fargli accettare l’idea che la bellezza deve essere condivisa perché appartiene a tutti senza distinzioni? È questo che ci permette di sopportare la durezza della realtà e le privazioni del quotidiano. Dopo aver riflettuto a lungo, mi sono ricordata di Oswald de Andrade e della sua teoria del cannibalismo culturale.
Chi era Oswald de Andrade?
Era un brasiliano vissuto nella prima metà del novecento (1890-1954). In Europa non è molto conosciuto, ma le sue idee sono ancora parte integrante della cultura del suo paese, dove è considerato il padre del movimento “modernista”, cioè della cultura nazionale, fino ad allora sbiadita da secoli di dipendenza coloniale.
Nel 1922 con la sua compagna, la pittrice Tarsila do Amaral, Andrade aveva organizzato la settimana dell’arte moderna di São Paulo, per dare voce alla vitalità di quell’arte nascente e riconoscere il contributo della cultura indigena.
Andrade apparteneva alla ricca borghesia della capitale. Rovinato dal crac di Wall street del 1929, si era iscritto al Partito comunista e aveva creato un giornale militante. Ma l’opera che rimane legata al suo nome è il Manifesto antropofago, pubblicato nel 1928: un testo infuocato e ironico, una sorta di elogio dell’insensatezza che ricorda il Manifesto del surrealismo di Breton. Ispirandosi ai tupì, una popolazione indigena del Brasile che credeva di poter assimilare le virtù dell’uomo bianco attraverso un rito cannibale, il movimento di Andrade recuperava la metafora del cannibalismo – l’antropofagia – come un modo per accettare la propria condizione molteplice. Oswald de Andrade è stato il primo ad affermare che tutte le culture sono il risultato di influenze diverse, e il primo a usare i concetti di “ibridazione” e “métissage”, che oggi vanno così di moda. 
Non dobbiamo avere più paura né vergogna di far diventare parte di noi i valori presi in prestito dall’occidente, a patto di non trasformarli in feticci. E a patto di considerarli con ironia e perfino di saperli mettere in ridicolo, come fa il verso più famoso del Manifesto antropofago, parodiando l’Amleto di Shakespeare: “Tupì or not tupì, that is the question”. 
Forte di questa nuova consapevolezza, sono tornata dai miei ragazzi per dirgli: non esitate a visitare Versailles e le sue meraviglie. Basta che al momento opportuno vi ricordiate una cosa: Luigi XIV aveva i denti rovinati e l’alito cattivo. 
Sapranno fare buon uso dei miei consigli? 
 
Traduzione di Jamila Mascat
 
Maryse Condé è nata nel 1937 a Pointe-à-Pitre, in Guadalupa, dipartimento francese d’oltremare. In Italia ha pubblicato, tra l’altro, Segù (Edizioni Lavoro 2003), La vita perfida (e/o 2001) e Sogni amari (Città Aperta 2006).

Pubblicato il

Domenica 15 Febbraio, ore 18.00: Badara Seck presenta

Domenica 15 Febbraio, ore 18.00: Badara Seck presenta “Dal tassuu al rap, e ritorno”: aperitivo-incontro musicale con il griot senegalese Laye Ba.

I griot Badara Seck e Laye Ba proporranno assaggi del ritmo senegalese del lassuu e ne ripercorreranno le vicende, tra tradizione e contemporaneità, tra musica e narrazione.

Il tassuu è un ritmo tipicamente senegalese, che ha profondamente influenzato il sorgere di una tradizione musicale « rap » tutta locale, in cui la parola, parlata/cantata in wolof, ha il potere di raggiungere un publico  larghissimo e di influenzare l’opinione del giovane pasese (2/3 sotto i trent’anni su una popolazione di 11 milioni di abitanti). Il tassuu moderno ha subito notevoli modiche rispetto a quello originario chiamato Taxurane, un tipo di rap armonizzato dagli strumenti tradizionali chiamati “rit”, e utilizzato per per accompagnare il racconto di storie e per esternare le proprie emozioni ed opinioni attraverso il canto improvvisato.

Tramandato di generazione in generazione dalle etnie Lebu, e Laobé, formata tradizionalmente da pescatori, precursore del rap statunitense ed in parte riadattazione, il tassuu è un tassello importante nella tradizione e nell’ibridazione della parola musicata.

Badara Seck è nato in Senegal da una famiglia di Griots, musici/cantori (spesso appartenenti ad una specifica casta)  che detengono e tramandano il sapere, la tradizione, la storia e la cultura locale. Giovanissimo ha cominciato a girare il mondo con la sua voce e le sue storie, poi con le canzoni e le musiche da lui stesso composte, con frequenti e lunghi soggiorni in Senegal, dove ha continuato ad esercitare il suo ruolo di musicista e Griot. Ha partecipato a numerosi festival in tutto il mondo: in particolare è stato scelto come unico degno sostituto della grande Miriam Makeba per la voce solista della famosa Messa Luba. è stato uno dei personaggi si spicco di Hypertext-Ulisse, del compositore Luigi Cinque. Con il suo gruppo, Penc, si è esibito in numerosissimi concerti in Italia, in Europa e in Africa. Ha partecipato, su sollecitazione di Mauro Pagani, alle realizzazione degli ultimi cd del cantante Massimo Ranieri e da allora lo accompagna in tutti i suoi concerti.

Laye Ba: Diplomato al rinomato liceo “Blaise Diagne”, frequenta gruppi teatrali e di poeti. Inizia ad essere notato e viene chiamato a partecipare alle iniziative musicali e teatrali di istituti famosi come “M.L.King” o il “Lamin Gay” di Dakar. Nel 1992 crea un gruppo teatrale comico chiamato Xaxatai Show, “ridere senza tregua”, di cui faceva parte Abdoulaye Ndiaye. Nel 1997 conosce il grande comico senegalese “Kouthia” con il quale partecipa ad una tourné in tutto il Paese ed appaiono in TV con lo spettacolo “Petite Thèatre”. Frequenta la scuola di musica presso la discoteca Miami a Dakar, che ha visto tra i suoi allievi i più grandi musicisti e cantanti senegalesi quali Youssou N’Dour. Proprio con questo artista collabora dando vita a numerosi spettacoli. In Senegal incide due album assieme ad Abdallah Diop con il quale ha formato il gruppo Dege Gui con cui ha inciso “Dundë Gui” (la vita)e “Fuu ñuyë diare baa Mouthë” (La strada per salvarsi).

In Italia, Laye Ba ha partecipato a numerosi festival, ed ha collaborato con artisti italiani tra cui Tony Esposito e Gennaro Testa. Tiene inoltre seminari sulla musica nelle scuole medie secondarie. Di recente ha esordito come attore nel Musical “Nemico di Classe” per la regia di Angiolina Campanelli presso il Teatro Trianon di Napoli.

 

Pubblicato il

Dal vodoo ad Haiti: Aperitivo incontro con la coreografa Lucina de Martis

Sabato 21 Febbraio, ore 18.00: Dal vodoo ad Haiti. Aperitivo incontro con la coreografa Lucina De Martis, accompagnata dal ritmo del percussionista Massimo Carrano.

Le danze Afro Haitiane rappresentano un percorso interiore attraverso la memoria, i ricordi, la nostalgia. La schiavitu’ e la sofferenza di un popolo che danzando i loà ritrova nel suo passato la forza per conquistare la liberta’ e un raro momento di aggregazione. La danza ad Haiti non è un’arte separata, ma una parte di tutto il complesso del vivere. La gente danza la semina, il raccolto, il corteggiamento, la bellezza, la nascita, il sole, la pioggia, il gioco, il combattimento… Musica e danza sono intimamente associate al culto, tanto che si può parlare di rituali danzati. Ogni rituale ha ritmi caratteristici e i tamburi sono gli strumenti principali, considerati sacri, perché la loro voce appartiene a un dio.
Lucina De Martis, danzatrice, insegnante e coreografa, parlerà delle danze afro-haitiane e dei loro significati rituali, accompagnata dai tamburi di Massimo Carrano.

“Si può danzare il mare chiamandolo Metre Agwè,
o sentendo la sua energia,
si può danzare la bellezza chiamandola Erzulie,
o esprimendo quello che per noi è la bellezza,
si possono danzare i nostri antenati che sono diventati dei,
o sentendo il legame che noi abbiamo
con la nostra storia e il nostro passato;
il percorso interiore per esprimersi è individuale,
la tecnica dà al nostro corpo la possibilità di farlo.
Lucina De Martis: Dopo aver conseguito il diploma per l’insegnamento della danza afro-haitiana presso l’Alvin Ailey American Dance Center di New York, Lucina De Martis soggiorna ad Haiti, al fianco di Madame Lavinia Williams direttrice artistica e coreografa della Compagnia Nazionale di Danza Etnica e Balletto di Haiti, per approfondire lo studio delle danze rituali voodoo. Ritorna in Italia nel 1982 ed inizia la sua attività didattica e coreografica che non ha mai interrotto.
Massimo Carrano: musicista, compositore e insegnante di multipercussioni, è il fondatore del metodo di “sensibilizzazione ritmica”. Per Massimo il ritmo è un bisogno primario ed è ingrediente della ritualità. Ciò che ascoltiamo come ritmo musicale racchiude il segreto dell’ ancestrale appartenenza alla natura delle cose.

Pubblicato il

Chi Legge cosa: Gennaio 2009

CHI LEGGE COSA: GENNAIO 2009


In questa pagina, ogni mese, un autore, o un intellettuale, condividono un consiglio di lettura. Abdourahman A. Waberi apre le danze.

 
Rifugiati. Voci della diaspora somala
Farah Nuruddin
Prezzo € 21,00
Dati 2003, 256 p., rilegato
Editore Meltemi  (collana Biblioteca)
 
 
Nuruddin Farah, scrittore somalo di solida reputazione nel mondo anglofono e in esilio da oltre un quarto di selcolo, si fa portavoce del suo popolo, in movimento dal 1991 – dalla presa di Mogadiscio e l’perazione Restore Hope. Nove anni di scrittura, un lavoro intenso e un minuzioso lavoro di documentazione, nei campi in africa e altrove, centinaia di interviste registrate in Italia e in Svizzera cosi come in Svezia, Inghilterra, Etiopia e Kenya. 
“Rifugiuati” à un libro sensibile, dalle tonalità universali, che uniscono la riflessione politica con una requisitoria contro i funzionari dell’ONU responsabili di rifugiati, il racconto autobiografico  con l’inchiesta sociologica. I Somali e i loro compagni di sfortuna, srilankesi, sierraleonesi, ruandesi, burundesi, algerini, afgani, kosovari, … – sono trattati come paria.  Se mai hanno la fortuna di superare le mille barriere amministrative e di polizia, li si ritrova qui e li come tanti Cristi che soffrono: raggomitolati in un tunnel in attesa di un ipotetico soccorso, sperduti nella sala d’attesa di una stazione di provincia, addormentati sulle valigie nella hall di un aeroporto, mentre gli occhi seguono ogni movimento, chiedono uno sguardo e un sorriso. La vita eternamente al termine dei rifugiati in una zona ditransito, in un centro di detenzione, una progione che non dice il suo nome. Una vita che avanza al passo bagnato dei giorni di pioggia. Una vita posata sulla noia, spesso, e talvolta alla morte.  
 
> Altre letture su “Rifugiati” di Nuriddin Farah
Le Monde Diplomatique
 
> Per saperne di più su Nuriddin Farah
Wikipedia
Pubblicato il

"E' la vita dolcezza", con la scrittrice Gabriella Kuruvilla, con Paola Splendore e Sebastiano Triulzi

Sabato 28 febbraio la Libreria GRIOT presenta: “E’ la vita dolcezza”, di Gabriella Kuruvilla, con Sebastiano Triulzi e Paola Splendore.
Gabriella Kuruvilla è una delle promesse della narrativa italiana contemporanea. Nata a Milano da padre indiano e madre italiana è tra le poche scrittrici italiane sulla scia di Hanif Kureishi e Zadie Smith. 
Gabriella presenterà al pubblico il suo ultimo lavoro “E’ la vita, dolcezza” (Baldini Castoldi Dalai) racconti agrodolci sulla migrazione in Italia (e non solo migrazione, ma anche amore, caos urbano, dilemmi, paure). Angeli custodi della serata Paola Splendore docente di Roma Tre esperta di India letteraria e Sebastiano Triulzi giornalista di “La Repubblica”.
www.gabriellakuruvilla.it

Pubblicato il

Incontro del Gruppo di Lettura di GRIOT: "Il bevitore di vino di palma" di Amos Tutuola

Sabato 21 febbraio, dalle  11 alle 12.30 il gruppo di lettura della Libreria GRIOT continua il suo percorso attraverso i grandi libri della letteratura africana. Dopo Il complesso di Mandela del sudafricano Lewis Nkosi e Il crollo del nigeriano Chinua Achebe, questa volta è il turno di un altro importante scrittore della Nigeria, sicuramente uno dei paesi più vitali nella scena letteraria del continente: si tratta di Amos Tutuola (1920-1997) con il romanzo breve Il bevitore di vino di palma, un classico contemporaneo pubblicato in Italia da Adelphi all’interno del volume La mia vita nel bosco degli spiriti.
Il gruppo di lettura è aperto; non è necessario aver partecipato agli incontri precedenti.
Coordina Maria Teresa Carbone.

 
da Wikipedia: Tutuola nacque nel 1920 ad Abeokuta, in Nigeria. I suoi genitori erano coltivatori di cacao di etnia Yoruba e religione cristiana. A sette anni andò a servizio da F. O. Monu, un uomo di etnia Ibo, che lo mandò a scuola presso l’Esercito della Salvezza. A dodici anni frequentò la scuola anglicana ad Abeokuta. Alla morte di suo padre, nel 1939
Tutuola abbandonò gli studi e divenne un apprendista fabbro, professione che esercitò dal 1942 al 1945 per la Royal Air Force. In seguito svolse numerosi altri mestieri; vendette il pane e fu messaggero del Dipartimento del Lavoro nigeriano. Nel 1946 completò il suo primo libro, The Palm-Wine Drinkard, e nel 1947 sposò Victoria Alake, da cui avrebbe avuto quattro figli maschi e quattro femmine.
I primi tre libri di Tutuola gli guadagnarono la notorietà a livello addirittura internazionale. Fu uno dei fondatori dello Mbari Club, un’organizzazione di scrittori ed editori destinata a diventare un importantissimo polo culturale della Nigeria. In seguito tenne lezioni all’Università di Ife (oggi Obafemi Awolowo University) e all’University of Iowa. Visse gli ultimi anni principalmente a Ibadan e Ago-Odo. Morì a 77 anni, di ipertensione e diabete.
Nonostante gli studi piuttosto limitati, Tutuola scrisse i suoi romanzi in inglese, precorrendo la tradizione della letteratura africana in lingua inglese che avrebbe avuto moltissimi dei suoi esponenti di spicco proprio in Nigeria. Il suo primo romanzo, Il bevitore di vino di palma, viene considerato un classico; fu pubblicato a Londra da Faber and Faber e poi tradotto in diverse altre lingue. Fu il celebre poeta Dylan Thomas a notare quest’opera e portarla all’attenzione della critica e del pubblico, favorendone il successo. Nonostante l’interesse della critica internazionale, il romanzo fu molto criticato in Nigeria per l’uso della lingua inglese, che Tutuola intenzionalmente fece tendere al pidgin.
Dopo Il bevitore Tutuola continuò a esplorare la tradizione folkloristica Yoruba in numerose altre opere, fra cui My Life in the Bush of Ghosts (1954), che tra l’altro ispirò l’album omonimo dell’artista Brian Eno. Molte delle opere di Tutuola sono raccolti presso lo Harry Ransom Humanities Research Center della Università del Texas a Austin.
 
Alcuni link utili per saperne di piu: 
http://www.filidaquilone.it/num002platania.html

Pubblicato il

Incontro-Aperitivo con Harold Bradley, o dell'eclettismo di un afroamericano a Roma

Domenica 22 febbraio ore 18.30 presso la Libreria GRIOT, Badara Seck presenta:
Aperitivo-incontro con Harold Bradley o dell’eclettismo di un afroamericano a Roma. Tra parole e musica, Bradley ripercorrerà il suo percorso tra arte, musica e diritti civili degli afro-americani accompagnato dall’attore Angelo Blasetti. .
Famoso esecutore e ricercatore di musica afro-americana, Bradley è tra gli l’americani più noti di Roma; senz’altro tra quelli che più hanno contribuito ad arricchire cultralmente la capitale.
Fondatore nel 1961 nel suo studio di pittura in Trastevere del celeberrimo “Folkstudio” nel quale si esibirono artisti come Bob Dylan, Pete Seegar, Steve Lacy, la Trinidad Steel Band, Bradley è un personaggio poliedrico: artista, musicista, militante per i diritti civili, in continuo movimento tra Italia e Stati Uniti.
Autentico griot contemporaneo, Bradley è uno straordinario interprete di blues, jazz, gospel, e di canti della lotta per i diritti Civili in America, spesso assieme alla celebre formazione “Folkstudto Singers” con il quale Archie Savage e’ stato co-scrittore.
Dopo lunghi periodi negli Stati Uniti, Bradely vive di nuovo a Roma dove con i “Bronzeville America Gospel” porta avanti le tematiche tradizionali e moderne della musica sacra nera esibendosi non solo nell’ambito di importanti festival (tra cui Umbria Jazz), in manifestazioni destinate a tenere viva l’attenzione ai problemi causati dall’apartheid. YouTube
The RomanForum.com