Sabato 28 settembre alle 18, GRIOT ospita la presentazione di “Mother Eritrea” di Daniel Wedi Korbaria. Insieme all’autore parteciperanno il Prof. Furio Pesci, docente universitario di storia della pedagogia e la neuropsichiatra infantile e dell’età evolutiva Prof. Marinella Canale. Lettura interattiva col pubblico condotta dalla drammaturga e linguista Flavia Gallo.
Sullo sfondo di un paese in guerra, l’Eritrea, si consuma il dramma di Selam, la “Mother Eritrea” del titolo, una madre coraggio costretta a crescere da sola due figli mulatti facendo di tutto affinché sopravvivano. La vicenda è ambientata nella città di Asmara, oppressa dal feroce controllo del colonnello etiope Menghistu Hailemariam. I fratellini Yonas e Sami crescono circondati da un gruppo di donne sole che usano i melodrammi indiani come panacea alla loro misera vita, combattendo quotidianamente contro uomini violenti. Attraverso i flashback dei protagonisti e il racconto delle loro peripezie l’autore ricostruisce il periodo drammatico della guerra di indipendenza eritrea visto dal punto di vista infantile e ingenuo di chi ha come unico scopo quello di trovare qualcosa da mangiare e sopravvivere giorno dopo giorno.
Daniel Wedi Korbaria è nato ad Asmara e vive e lavora in Italia dal 1995. Dopo una lunga esperienza nel mondo del teatro, negli ultimi anni si è occupato di immigrazione dal Corno d’Africa. Ha pubblicato numerosi racconti e articoli; “Mother Eritrea” è il suo primo romanzo.

Primo appuntamento introduttivo con il circolo del libro di editoriaraba dedicato alla lettura collettiva del romanzo
Dieci reportage. Dieci storie di sopravvivenza, prevaricazioni, violenza, speranza. Sono storie vissute, viste, ascoltate in prima persona nei viaggi di Luca Salvatore Pistone al centro delle zone calde del mondo dal 2012 in poi. Dall’Africa (Gambia, RCD, Repubblica Centrafricana, Niger) al Sud est Asiatico (Cambogia, Filippine), passando per Mosul: paesi molto diversi ma con la caratteristica comune di essere terreno di conflitti più o meno riconosciuti dalla comunità internazionale. “Dalla guerra” è un viaggio all’interno della cronaca raccontata con uno stile asciutto, a volte obbligatoriamente duro, senza autocompiacimento né pietismo per vittime coinvolte.
Non si tratta di un taccuino di viaggio, di un reportage giornalistico, di un racconto romanzato di incontri. Non è un saggio di politica o di economia sull’Africa, sulla sua cultura, né un libro sullo sviluppo sostenibile. Ma è un po’ tutto questo. Queste pagine sono un misto di emozioni e riflessioni sull’Africa che l’autore fa scoprendo che in quel pezzo di mondo, rappresentato nelle cartoline dai baobab, come nel nostro, come in tutti i sud della terra, c’è ancora tanto da fare, tanto da costruire, tanto da migliorare.
La biografia della scrittrice Carolina Maria de Jesus (1914-1977) vuole ripercorrere la vita e la produzione letteraria di una singolare protagonista della letteratura brasiliana del ‘900, raccontando, allo stesso tempo, alcuni momenti fondamentali del grande paese sudamericano: dal periodo coloniale fino agli anni ’60. Carolina, nera, nubile e madre di tre figli, vive nella favela di Canindé, dove è scoperta per caso da un reporter che le permette, nel 1960, di pubblicare la sua prima opera, il diario Quarto de Despejo. Il libro, che racconta la durissima vita della favela, avrà uno straordinario, anche se effimero, successo letterario. L’avvento della dittatura militare e l’ abbandono dei media, la respingeranno, pochi anni dopo, nell’oblio e nella miseria. Eppure Carolina non smetterà mai di scrivere: diari, un romanzo, poemi, testi teatrali. Considerata, in Brasile, tra le prime protagoniste della Letteratura Marginale, Carolina influenzerà l’attuale Letteratura Periferica. Accusata di “scrivere male” Carolina stravolge in realtà ogni canone letterario e ci lascia un’opera affascinante e sorprendente, che va al di là del genere autobiografico e della pura testimonianza sociale.
«Nel gennaio del 1991 mi trovavo in Somalia per la ricerca sul campo per il dottorato in Africanistica, quando ho assistito al crollo del regime di Siyad Barre. Spinto da mia moglie Udi e dagli amici, ho tenuto un diario di testimonianze: “Morire a Mogadiscio”. A distanza di ventisette anni, nel gennaio del 2017, ho fatto ritorno per assistere mia madre che era in coma in ospedale. Anche questa volta ho messo per iscritto un diario: “Ritorno a Mogadiscio”, con le impressioni sulla situazione politica e sociale della Somalia. Nel primo diario descrivo come sono stato colto impreparato dagli avvenimenti di inaudita violenza che si susseguivano fuori, intorno a me, e nella mia famiglia. A volte mi sembrava di vivere in una città che non riconoscevo più, e non vedevo l’ora di fuggire per non impazzire. Mi dispiaceva per i giovani che erano coinvolti in un wargame più grande di loro. Quando sono ritornato nel 2017, mi sono chiesto come un’intera generazione fosse potuta sopravvivere a decenni di guerra, senza sapere il significato di pace. Allora ho capito perché i giovani fuggono dalla Somalia: perché noi della diaspora gli facciamo scoprire un altro mondo che a loro è permesso sbirciare solo su facebook» (dalla quarta di copertina).
La vicenda dei popoli mediterranei raccontata da prospettive finora inedite o poco scandagliate: è il progetto inaugurato da Edizioni di storia e studi sociali con il primo volume della Storia dei Mediterranei, già presentato nel dicembre 2018 presso GRIOT.














Michael Ivy (Londra 1953), ha vissuto e lavorato in Algeria da novembre 1976 a giugno 1978, come insegnante d’inglese in un istituto tecnico ad Annaba, una città di porto sul mare nell’Est del Paese, l’ex-“Bone La Coquette” dell’epoca francese. Nel tempo libero ha esplorato il Nord Constantinois e una parte del Sahara, da Annaba a Constantine, dal suggestivo sito romano di Timgad alle montagne degli Aurès ed alle oasi del nord Sahara come Biskra, El-Oued, la “ville aux mille cupoles” della viaggiatrice Isabelle Eberhardt, Touggourt e il suggestivo M’zab. In questi viaggi ha scattato moltissime fotografie in bianco e nero di persone e paesaggi in un periodo in cui in Algeria si poteva girare senza problemi pur non essendo un paese turistico.