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"ONG e Africa". Incontro a cura dell'Associazione Culturale "Il Cosmopolita"

Sabato 26 febbraio, alle 18.30 incontro organizzato dall’Associazione Culturale “Il Cosmopolita” in collaborazione con la libreria GRIOT sul tema “ONG e Africa”

Partecipano Gianpaolo Rampini (responsabile progetto “Invisible cities), Marinella D’Amico (presidente AliZeta Onlus) e Nicoletta Pirozzi (ricercatrice Istituto Affari Internazionali)
L’Associazione Culturale “Il Cosmopolita”, attiva nella promozione e nella diffusione della cultura attraverso lo sviluppo di attività attinenti alla politica, all’arte, alla letteratura, alla filosofia e alla musica, organizza in collaborazione con la libreria GRIOT, un incontro sul tema “ONG e Africa. Le criticità della cooperazione allo sviluppo: dagli aspetti economico-culturali a quelli politici e di sicurezza.
L’incontro nasce dal desiderio di interloquire con un’autrice le cui tesi stanno facendo molto discutere e riflettere il mondo della cooperazione internazionale: Dambisa Moyo, autrice del libro “La carità che uccide” (Rizzoli, 2010), ex funzionaria della Banca Mondiale e della banca d’affari Goldman Sachs. Alla vigilia del suo secondo, attesissimo, libro, “How the West was lost”, operatori impegnati nella cooperazione internazionale e studiosi di scienze sociali ed economiche continuano a dibattere sulle tesi provocatorie sollevate dall’autrice zambiana, secondo la quale gli aiuti internazionali non solo non sarebbero stati di alcuna utilità allo sviluppo dell’Africa, ma lo avrebbero addirittura rallentato, se non arrestato del tutto.
“Il Cosmopolita” ha invitato Gianpaolo Rampini (Responsabile del progetto “Invisible cities”), Marinella d’Amico (Presidente di AliZeta Onlus) e Nicoletta Pirozzi (Ricercatrice dell’Istituto Affari Internazionali) a un dibattito aperto sul rapporto tra le ONG internazionali e il continente africano. Nel corso dell’incontro si rifletterà sulla natura delle difficoltà del continente africano di affrancarsi dalla sua condizione di ritardo nello sviluppo economico, sociale e politico, sul ruolo giocato dalle ONG internazionali nei processi di sviluppo e sulla possibilità di ripensare l’aiuto internazionale alla luce dei fallimenti e dei successi del passato.
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A lezione di Kora con Madya Diebate. Incontro introduttivo gratuito

A LEZIONE DI KORA CON MADYA DIEBATE’: INCONTRO INTRODUTTIVO GRATUITO
a cura di Officina GRIOT

LIBRERIA GRIOT – VENERDI’ 25 FEBBRAIO ALLE 19.00
– sulla kora e i griot intervento a cura di Madya Diebaté e Alessandro Ciaccini (TP Africa)
– sulle caratteristiche dello strumento, arpa a ventun corde, intervento a cura del liutaio Emanuele Cinelli.
SI PREGA DI CONFERMARE LA PROPRIA PARTECIPAZIONE SCRIVENDO A [email protected]
DA SABATO 12 MARZO INIZIO DEL CORSO DI KORA DA GRIOT
Corso del sabato: a partire da Sabato 12 marzo, ore 12-14
Corso della Domenica: a partire da domenica 13 marzo ore 12-14
N. 15 lezioni
Costo: 450 euro
Il corso si attiva con un minimo di 3 allievi e può ospitare un massimo di 5 allievi
Su richiesta è possibile organizzare lezioni private
Madya Diebaté viene dalla Casamance, una regione a sud del Senegal in cui prevale l’etnia mandinka. Discende da una famiglia griot, con una parentela stretta con la famiglia di Toumani Diabate e Ballake Sissoko. La kora, l’arpa a 21 corde dei mandingo, è originaria di quelle terre. A differenza dei maliani, in Gambia e in Casamance la kora si suona in modo più ritmico e percussivo, con le corde che vengono colpite e pizzicate.
Madya Diebaté può essere considerato uno dei più virtuosi suonatori di kora della diaspora africana. Attento interprete della cultura mande suona sia in gruppi tradizionali che in progetto di fusione che vedono assieme la crema del jazz italiano e la tradizione orale ouest-africaine.
I corsi si svolgono presso la Libreria GRIOT in via di Santa Cecilia 1/A a Roma (Trastevere).

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L'impossibile accade. Riflessioni sulla primavera araba.

Con Anna Maria Rivera, docente di Etnologia ed Antropologia sociale all’Università di Bari e Hamadi Zribi, attivista antirazzista, ex responsabile di Rifondazione Comunista per l’immigrazione e tra i fondatori, nel 1987, della Rete Antirazzista.

Author: Carlos Latuff

Il nuovo anno è iniziato in modo drammatico in Tunisia: un giovane, diplomato e disoccupato, si è dato fuoco per protestare contro il regime di Ben Ali, al potere dal 1987 e responsabile, agli occhi del suo popolo che è sceso in piazza, dello stato di profonda crisi economica in cui versa il paese mediterraneo. Quello che sembrava il gesto di un folle si è rivelata una potentissima miccia che ha innescato una polveriera che si affaccia sul Mar Mediterraneo: la gente, soprattutto giovani donne e uomini, è scesa in piazza ogni giorno, con l’intenzione di fare fuori una volta per tutte un regime corrotto che in trent’anni di potere non ha fatto nulla per migliorare le condizioni del suo popolo.
Dalla Tunisia i disordini si sono diffusi rapidamente ad altri paesi: Algeria, Yemen, Libia, e l’Egitto, il gigante malato del Medio Oriente, hanno subito l’onda d’urto di una protesta che non è fatta di slogan ideologici, ma di pochi concetti fondamentali: democrazia, dignità, lavoro, libertà. Parole che colpiscono, con la forza della protesta pacifica, e che affondano regimi fino a ieri ritenuti ben saldi, anche per il generoso
appoggio offerto dalle potenze occidentali. Ben Ali è stato costretto a fuggire dal suo popolo, e ieri anche l’anziano Hosni Mubarak, al potere in Egitto da trent’anni, ha dovuto capitolare davanti alle richieste del suo popolo. In Europa e in America i governanti sono prudenti, stanno a guardare, mentre sono sempre di più i cittadini che avvertono delle affinità con le lotte del popolo arabo contro dittatura e corruzione. Tra i vecchi slogan archiviati dai tunisini e dagli algerini ci sono anche quelli di stampo islamista: non è in nome della religione che le giovani e i giovani arabi scendono in piazza, ma in nome della propria dignità.
Gli eventi di questi giorni si susseguono senza tregua: noi di GRIOT li seguiamo con ansia e partecipazione, e vorremmo condividere pensieri, opinioni, previsioni su quanto sta accadendo dall’altra parte del Mediterraneo. Ne parleremo domenica 13 febbraio, dalle 18.30, con Anna Maria Rivera, antropologa e Hamadi Zribi, attivista antirazzista, ex responsabile di Rifondazione Comunista per l’immigrazione e tra i fondatori, nel 1987, della Rete Antirazzista.

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Ivan Vladislavic, TJ-Doppia negazione, Contrasto DUE 2011

Il 27 febbraio, 18.30: “TJ-Doppia negazione” | La Johannesburg di Goldblatt e Vladislavic
Partecipano: Maria Antonietta Saracino e Antonello Frongia. Introduce Maria Teresa Carbone.

Johannesburg è una città ricca di fascino e di contraddizioni, difficile da abitare, fatta di parti disconnesse fra loro e percorse dalle cicatrici lasciate dalla tragedia dell’apartheid.
Il progetto artistico-letterario “TJ-Doppia negazione” si propone di indagare questa realtà complessa, e tentare di restituirne in parte il senso profondo. Nato dalla collaborazione tra il fotografo David Goldblatt e lo scrittore Ivan Vladislavic, si presenta come un dialogo contrappuntistico tra immagine e parola scritta, in cui la fotografia si fa discorsiva nel racconto, che a sua volta viene dotato di una dimensione visiva più immediata e intensa.
“TJ” raccoglie 270 immagini di Johannesburg e della sua gente, che Goldblatt ha scattato in oltre sessant’anni di attività. Il romanzo “Doppia negazione” è stato scritto da Vladislavic in un confronto diretto con questo lavoro fotografico.
TJ-Doppia negazione” sarà presentato presso la Libreria GRIOT. L’incontro vedrà la partecipazione di Maria Antonietta Saracino, traduttrice e docente di letterature anglofone di Africa, Caraibi e India, e Antonello Frongia, studioso di fotografia e docente presso l’Università di Roma Tre.

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Da Chang Mai a Mogadiscio. Quando a narrare il viaggio sono le donne: Igiaba Scego e Francesca Bellino

Giovedi 3 Febbraio alle ore 18:30 le scrittrici Igiaba Scego e Francesca Bellino si incontrano alla Libreria GRIOT per confrontarsi sul tema del viaggio al femminile partendo dalle storie raccontate nei due volumi appena pubblicati, “La mia casa è dove sono” (Rizzoli) e “Uno sguardo più in là” (Aram/Betmultimedia).

“Quando a narrare il viaggio sono le donne” è il titolo dell’incontro, al quale prenderà parte anche il clarinettista Davide Alivernini.

Ne “La mia casa è dove sono”, uscito per Rizzoli il 14 settembre, Igiaba Scego, scrittrice italiana di origini somale, racconta la sua terra di provenienza e il suo Paese d’adozione. Nata a Roma perché suo padre, ex ministro degli Esteri somalo, veniva in Italia a “studiare la democrazia” negli anni Cinquanta e aveva avuto la sensazione che qui si potesse ricominciare a sognare, Igiaba ha conosciuto Mogadiscio attraverso le fiabe della madre e i racconti dei fratelli.

Quando è scoppiata la guerra in Somalia, Igiaba aveva 16 anni e aveva già vissuto infanzia e adolescenza a Roma. Oggi ci racconta non solo cosa significa portarsi dietro la propria casa in un luogo nuovo e quali sono le difficoltà di essere accolta, accettata e amata, ma ci offre anche un ritratto delle molte identità dell’Italia odierna che ancora fatichiamo a capire davvero.

In “Uno guardo più in là” Francesca Bellino raccoglie parte delle sue cronache di viaggio in luoghi caratterizzati da esperienze di pluralità culturale, etnica e religiosa tra Oriente e Occidente inaugurando la collana “I reportage di 4ARTS” pubblicata in coedizione da Aram e Betmultimedia. Tra i temi trattati nel volume: le minoranze cristiane in India e in Siria, i russi di New York, i berberi di Matmata, gli ebrei di Buenos Aires, i tangueros norvegesi, la festa delle luci a Chang Mai, la battaglia del vino in Spagna, il ramadān a Tunisi, l’aborto selettivo in Cina, India e Pakistan, esplorazioni estreme sul Monte Sinai, fino alla “scoperta dell’America” di Ennio Morricone, alla Pisa di Keith Haring, alla Potenza di Vito Riviello, ai paesaggi sardi visti dal treno “suonante” di Paolo Fresu, alle storie dell’ashram di Cisternino, dei Templari in Basilicata e del presente globalizzato di quartieri italiani come San Salvario a Torino e l’Esquilino a Roma.

Igiaba Scego scrive su L’Unità, Internazionale e molte riviste che si occupano di migrazioni e culture africane tra cui Nigrizia. Tra i suoi libri: Pecore nere (Laterza, 2005) e Oltre Babilonia (Donzelli, 2008), La mia casa è dove sono (Rizzoli 2010).
Francesca Bellino scrive su diversi giornali italiani ed esteri tra cui Il Mattino, l’argentino Clarin, lo svizzero Azione e su molte riviste musicali e di viaggio. È autrice televisiva e radiofonica. Ha pubblicato Il prefisso di Dio. Storie e labirinti di Once, Buenos Aires (Infinito, 2008), Non sarà un’avventura. Lucio Battisti e il jazz italiano (Elleu, 2004) e È ancora vivo! Lucio Battisti risorge attraverso i mezzi di comunicazione (Sottotraccia, 2000). Nel 2009 ha ricevuto la Targa Olaf al Premio Cronista Piero Passetti e il Premio Principessa Sichelgaita. www.francescabellino.it

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"La carità che uccide". Jean-Léonard Touadi e Pietro Veronese presentano il libro choc di Dambisa Moyo.

Domenica 30 gennaio, alle ore 17.30, presentazione-dibattito del controverso best-seller dell’economista Dambisa Moyo “La carità che uccide”. Partecipano Jean-Léonard Touadi, deputato e giornalista e Pietro Veronese, giornalista di Repubblica.


“Dead-Aid”, tradotto in Italia per Rizzoli con il titolo “La carità che uccide” denuncia il fallimento del sistema degli aiuti allo sviluppo al continente africano. Il libro controverso dell’economista zambiana Dambisa Moyo parte da una domanda apparentemente semplice: Cosa succederebbe “se uno a uno tutti i paesi africani ricevessero una telefonata in cui si comunica che entro cinque anni esatti i rubinetti degli aiuti verranno chiusi per sempre?”. Per Dambisa Moyo, proprio questo deve succedere per spingere gli africani a smettere di guardare il cielo degli aiuti e rivolgere lo sguardo verso la loro terra da valorizzare utilizzando le risorse proprie e imparando a navigare nel mare aperto delle nuove opportunità aperte dalla globalizzazione dei mercati finanziari.

Gli aiuti hanno contribuito a rendere più poveri i poveri e a rallentare la crescita. Ciononostante, gli aiuti internazionali restano il pezzo forte dell’attuale politica di sviluppo e una delle idee più radicate del nostro tempo. Il concetto secondo cui gli aiuti possono alleviare la povertà sistemica, e che ci siano riusciti, è un mito. Oggi in Africa milioni di persone sono più povere proprio a causa degli aiuti, la miseria e la povertà invece di cessare, sono aumentate”.

Il tema non è nuovo: è la domanda dei padri-fondatori dell’Africa moderna, dei teorici dello sviluppo degli anni sessanta, degli analisti del fallimento dei “decenni perduti dello sviluppo”, dei critici implacabili del concetto stesso di sviluppo come Serge Latouche, degli sviluppatori di professione e degli economisti Paul Collier, Williamo Easterly, Jeffrey Sachs fino alle rock star Bono e Bob Geldolf. Tutti alla ricerca delle strade per fare uscire l’Africa dalla piaga del sottosviluppo o del mal sviluppo, dell’uscita dei modelli imposti. Ad una stessa domanda, analisi e risposte diverse. In questo dibattito Dambisa Moyo introduce un punto di vista devastante, di rottura rispetto a questa specie di “pensée unique” secondo la quale dobbiamo tutti aiutare l’Africa.

Dambisa Moyo è nata e cresciuta nello Zambia, ha conseguito un dottorato in economia a Oxford e un master a Harvard. Ha lavorato per la Banca Mondiale a Washington e presso la Goldman Sachs, una delle più grandi e affermate banche d’affari. Nel 2009 il suo libro Dead Aid è entrato nella classifica dei bestseller del New York Times e successivamente Time Magazine l’ha inclusa nella lista delle cento persone più influenti al mondo. A metà febbraio 2011 uscirà, in inglese, il suo nuovo libro How the West Was Lost che non solo denuncia la miopia dell’Occidente come responsabile del suo attuale declino economico ma presenta anche le riforme politiche radicali necessarie per risollevarsi.

Titolo: La carità che uccide
Autore: Dambisa Moyo
Editore: Rizzoli
Anno: 2010, pag. 260
ISBN: 9788817039970

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"Mami Wata. L'inquieto spirito delle acque." Con Gigi Pezzoli e Maria Luisa Ciminelli.

Sabato 29 gennaio, alle ore 18.30, la libreria GRIOT presenta “Mama Wata. L’inquieto spirito delle acque”.

Partecipano: Gigi Pezzoli, Presidente del Centro Studi di Archeologia Africana e Maria Luisa Ciminelli dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Lungo la costa dell’Africa che si affaccia sul Golfo di Guinea, tra Togo, Bénin e Ghana, Mami Wata è considerata un vodu che vive nelle acque dell’oceano. E’ la “sirena”. Ma Mami Wata, è nomade e la si può trovare in molti altri paesi africani, nei Carabi, in Brasile e anche in Europa. Molte sono le sue identità e notevole la sua capacità di metamorfosi e adattamento: regina delle acque, dea della fertilità, avida accumulatrice di denaro, vanitosa e dispettosa despota nei confronti dei suoi adepti, sirena, incantatrice di serpenti, donna e uomo, ammaliatrice, prostituta e amante gelosa. Mami Wata è “moderna”, straniera rispetto ai luoghi che la ospitano, viaggiatrice ed esotica, promessa di una felicità ineffabile ma sempre più seducente. Mami Wata incorpora le ambiguità dell’essere umano e della società contemporanea, promessa di ricchezza e minaccia di morte. Secondo i suoi adepti, vive in una bellissima e futuribile città situata nel fondo del mare, ma accettare il suo invito ad abitare la città invisibile, significa accettare di abbandonare la propria vita, la materia della propria esistenza e venire trascinati per sempre nei neri abissi dell’oceano. Firmare un patto con lei può assicurare il successo e la ricchezza ma il prezzo da pagare può essere molto elevato.
In occasione della mostra “Nel nome di Mami Wata – ‘sirena’ del vodu” attualmente in corso a Rimini al Museo della Città (fino al 6.3.2011), il Centro Studi Archeologia Africana ha pubblicato il volume monografico “Mami Wata, l’inquieto spirito delle acque”. Il volume, a cura di Alessandra Brivio, raccoglie una serie di saggi di studiosi italiani ed internazionali su Mami Wata, dal Senegal al Congo.
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"Il Ventre del Pitone". Presentazione del libro con Eugenio Melandri e l'autore Enzo Barnabà.

Sabato 22 gennaio, alle ore 18.30, Eugenio Melandri presenta “Il Ventre del Pitone” di Enzo Barnabà. Sarà presente l’autore.

Basato su una storia vera, il Ventre del Pitone è il  romanzo di Cunégonde, una giovane donna che lascia la natìa costa d’Avorio per l’Europa. Già pubblicato in Francia da Edition de l’Aube esce qui in Italia con la casa editrice EMI.

Il mercato colonizza lo stato molto più di quanto lo stato non colonizzi il mercato. In Africa, l’invasione dei media internazionali ha effetti corrosivi sui legami sociali: mediante la colonizzazione dell’immaginario, trasforma la povertà modernizzata in miseria e lancia migliaia di migranti verso un drammatico fuggifuggi. Basti pensare alla voglia dei giovani – tra cui la protagonista di questo romanzo – di lasciare quello che finiscono per considerare come un inferno per i paradisi artificiali del nord, contro le cui porte andranno a frantumarsi. E anche se avviene il miracolo e riescono a oltrepassare quelle porte, la cosa lascia ferite che difficilmente guariscono. Anche questa è la lezione del bel libro di Enzo Barnabà.”  (dalla prefazione di Serge Latouche)


Enzo Barnabà siciliano di Valguarnera (Enna), è un francesista con la passione per l’Africa. Ha scritto Dietro il Sahara, Philobiblon, 2004; Morte agli italiani! Infinito, 2008 e infine Sortilegi un libro scritto a quattro mani con Serge Latouche pubblicato nel 2008 da Bollati Boringhieri.

Eugenio Melandri è stato candidato alle Elezioni Europee nelle liste di Democrazia Proletaria e durante il mandato parlamentare è stato Vicepresidente dell’Assemblea paritaria UE – ACP che raduna i Rappresentanti del Parlamento europeo con i paesi di Africa, Carabi e Pacifico. Attualmente è presidente dell’associazione “Obiettori nonviolenti”, coordinatore di “Chiama l’Africa” e direttore della rivista “Solidarietà internazionale”.
Titolo: Il ventre del pitone
Autore: Enzo Barnabà
Editore: EMI
Anno: 2010  pag. 192
ISBN: 9788830719392
Prezzo: 12.00€