Descrizione
Questo libro non si limita a una sintesi del già pensato, esplora invece nuove tracce. Akomolafe associa la passione per l’ecologia politica di Latour, Haraway e altri con il trans-femminismo di Karen Barad e intreccia il neomaterialismo con il pensiero decoloniale di Mbembe e Glissant e con le intuizioni di quella tradizione yoruba che è sopravvissuta alla schiavitù da tratta ibridandosi nelle Americhe e generando mille istanze di ethos resistente.
Dall’incontro con un guaritore yoruba, Akomolafe riscopre il nesso magico e familiare con la terra e la polvere del mondo, che diventa parte della sua ricerca di una “casa” per le generazioni future. Le sue riflessioni spaziano dalla trans-razzialità alla crisi climatica, l’epigenetica, la decolonizzazione, il femminismo. Ispirandosi alle cosmologie indigene, ci offre la visione di un mondo queer, irrimediabilmente ibrido, promiscuo e vivo. Un mondo che è un groviglio di flussi incessanti e in divenire, dove inventare un diverso rapporto con il pianeta, il tempo, il potere.
E ancora, nel testo che si dipana in forma di lettere indirizzate alla figlia Alethea di tre anni (perché possa leggerle quando sarà adulta), Akomolafe individua tra ascendenza e discendenza un legame forte e indissolubile di presenze: l’intreccio delle vicende familiari e il padre, seppure morto in circostanze drammatiche, percorrono l’intera narrazione rendendola universale.
La scrittura di Bayo Akomolafe è peculiare e avvolgente, e aderisce a una forma di scrittura che Donna Haraway definisce “affabulazione riflessiva”. Il suo riferimento è la fantascienza di Ursula K. Le Guin più che la saggistica classica, perché è la dimensione narrativa ad animare un rapporto immaginativo con il mondo.