Descrizione
Cosa vediamo quando viaggiamo? Cosa non riusciamo a vedere? E da chi, e come, siamo visti? Tommaso Giartosio fa di un viaggio in Eritrea il prisma attraverso cui indagare la storia coloniale dell’Italia, ma anche qualcosa di più: il nostro reciproco rapporto con l’altro, sospeso tra memoria, esperienza, desiderio, scoperta, gioco. Il cuore inesplorato e invisibile di una verità. «Quello che mi interroga è il bambino fermo, la donna che si è trovata un po’ d’ombra e si è seduta e guarda. Cosa guarda? Cosa vedono i crocchi di ragazzi che al limite di ogni mazzetto di case hanno una loro garitta immaginaria dove si accovacciano, di sera, spaziando in silenzio sull’orizzonte? Penseranno agli affari loro e all’immortalità dell’anima, come tutti gli adolescenti di ogni paese, d’accordo. Ma è tutto qui?» Un viaggio insieme ad alcuni amici in Eritrea diventa l’occasione per una riflessione tanto intima quanto collettiva. O forse è il contrario: lo sguardo rivolto da Tommaso Giartosio al mondo e al sé è così intenso e concentrato che assume, quasi naturalmente, la forma di un viaggio. Ma non di un viaggio qualsiasi: l’Eritrea è il nostro compagno segreto, di noi italiani, l’alterità più prossima e per questo rimossa e sempre ritornante. «Per la prima volta io occidentale, io italiano, andavo a trovare a casa sua gente che avevamo conquistato e tormentato e poi piantato lí e dimenticato, e che spesso compiva il percorso inverso e trovava in Italia lo stesso razzismo di cent’anni fa»: ma il viaggio, il viaggio reale, l’incontro con l’altro, come sempre danno corpo a ciò che fino a quel momento aveva la minacciosa indefinitezza del fantasma. E riescono a sorprenderci. Tommaso Giartosio ci racconta in maniera sensibile e inaspettata un paese tanto importante quanto poco conosciuto: e lo fa con lo sguardo mai ingenuo del poeta e dell’intellettuale, dello scrittore capace di rendere conto dei filtri che si annidano in ogni punto di vista (l’orientalismo, il razzismo inconscio, il pauperismo estetizzante…) Attraverso la sua scrittura precisa e poetica il viaggio diventa il sismografo più sensibile nel registrare le tracce, sfuggenti e spesso misteriose, che l’esperienza lascia sulle nostre anime e sui nostri corpi.