Descrizione
Disperdersi, andare lontano per lunghi mesi e, dopo l’estate, ritrovarsi e danzare… Se si è nomadi dentro non si può far altro che andare. Sono i Peulh Wodaabe, più noti come Bororo, allevatori di zebù dalle grandi corna a lira nelle savane del Tchad centrale, ad accogliere l’esigenza di Elena di farsi pastore. Nella transumanza i Wodaabe seguono la natura nomade e trovano erba buona per le loro mucche; la mobilità induce a mettere radici su pascoli temporanei, in ogni prato, all’ombra di qualunque acacia. I pastori nomadizzano in tutto il Sahel: si spostano durante l’anno in piccoli gruppi fino a quando in autunno, dopo le grandi piogge, si ritrovano con i loro zebù in pascoli verdeggianti e ricchi di sale. Solo allora gli esponenti dei clan riuniti danno corpo alla loro identità attraverso danze, canti, corse di cavalli. Dopo la lontananza, è il tempo dei volti truccati, degli abiti frusciane, degli occhi spalancati e delle bocche tremanti volte a catturare sguardi in nome della bellezza. È tempo di sorbire con calma tè e latte appena munto, di aspergere profumi sui tessuti, di sciogliere le trecce degli uomini e rifarle strette e lucide. ‘Io cammino con i nomadi’ è una storia fatta di muggiti, polvere e fumi di fuoco all’imbrunire; di nervosi corpi femminili a seno nudo intenti alla mungitura, di rari mercati dove vendere burro; di danze, pascoli, latte, latte…